Umberto Eco ha definito Il professore va al congresso di David Lodge (Bompiani 2005, 14esima ed.; ed or. 1984) “uno dei libri più divertenti, più veri, più dannatamente ilari che siano usciti negli ultimi cento anni” (ivi, p. vii). L’avevo letto quando è uscito in italiano e di esso conservo un ricordo che si discosta parecchio dai toni entusiastici di Eco. A me era parsa una narrazione decisamente poco avvincente, che si proponeva di descrivere il mondo dell’accademia come un microcosmo eccezionale, ma che mancava l’obiettivo. Più che costruire situazioni buffe, l’autore racconta di dinamiche grottesche, che tendono a ripetersi nella monotonia degli intrighi e degli “sporchi segretucci” che intrecciano le storie tra colleghi, lasciando peraltro l’impressione che qualcosa di simile accada in fondo in qualsiasi altro ambiente di lavoro. Forse però il mio ricordo è viziato dall’età in cui l’ho letto, quando effettivamente ancora non conoscevo da vicino ambienti che all’epoca mi erano apparsi, genericamente, noiosi. Potrei però dargli un’altra chance, e rileggerlo prima dell’estate 2024, in vista del xxv World Congress of Philosophy, che si terrà a Roma sotto la canicola agostana, per poi verificare ‘sul campo’ la verosimiglianza della storia di Lodge. Quale miglior occasione, per prendere le misure dei rapporti tra accademici, di un evento che si appresta ad essere il congresso dei congressi, il non plus ultra dei convegni del settore?
Dal sito internet relativo, infatti, apprendiamo che
Il Congresso mondiale di Filosofia è un incontro globale di filosofi che si tiene ogni cinque anni sotto l’egida della Federazione internazionale delle società filosofiche (FISP). Organizzati per la prima volta nel 1900, questi incontri si tengono regolarmente dal 1948. Essi focalizzano la conoscenza filosofica su problemi globali, promuovono l’educazione filosofica e incoraggiano lo sviluppo di relazioni professionali tra filosofi di tutti i Paesi.
(https://www.fisp.org/worldcongress, tr. nostra)
Quanto alla federazione promotrice dell’evento:
Fondata nel 1948, la FISP è la massima organizzazione mondiale non governativa per la filosofia. […] La FISP è membro del Consiglio Internazionale per la Filosofia e le Scienze Umane, l’organizzazione non governativa che costituisce il collegamento tra le federazioni umanistiche internazionali e l’UNESCO
(https://www.fisp.org, tr. nostra)
Le più recenti edizioni si sono svolte a Pechino, ad Atene e a Seoul e, un po’ come accade per le Olimpiadi, il fatto che la sede prescelta per la kermesse sia Roma presenta degli innegabili vantaggi per la comunità filosofica nostrana. Come padroni di casa, gli italiani sono invitati a presiedere a un gran numero di panel e ciò inevitabilmente contribuirà a favorire le relazioni internazionali tra studiosi (che in Italia ancora faticano a decollare), ma permetterà anche di far conoscere lo stato dell’arte della ricerca italiana. Sarà come essere un po’ in vetrina, per esibire quanto di meglio abbiamo prodotto negli ultimi anni. In termini di indotto culturale, inoltre, c’è da tenere presente che un dispiegamento di mezzi e di forze come quello preannunciato per l’iniziativa porterà la filosofia se non in primo piano, quantomeno alla ribalta del panorama non soltanto universitario, ma anche della società civile. A riprova di ciò, tra i nobili obiettivi della FISP troviamo elencate la promozione dell’“educazione filosofica”, nonché l’intenzione di “contribuire all’impatto della conoscenza filosofica sui problemi globali” (https://www.fisp.org, tr. nostra).
Oltre la cortina dell’ammirazione e dell’entusiasmo, viene però da chiedersi un po’ più nel dettaglio in che modo si articolerà la manifestazione, che non è un festival ma un convegno scientifico (dalle proporzioni mastodontiche). Al momento sono stati diffusi soltanto i nomi dei referenti dei panel e i titoli delle sezioni che si avvicenderanno nel corso delle giornate, ma già a questo stadio emerge un elemento importante, ovvero la vastità dei temi affrontati. Il documento di ‘sintesi’ conta ben 26 pagine, per un totale di 89 diverse sottocategorie disciplinari. Per chi pensa che la filosofia si ripartisca in Etica, Estetica, Politica, Teoretica e poco più, l’impatto con l’elenco delle voci del congresso può risultare traumatizzante: si slitta in fretta da un tradizionale Hermeneutics a un più coraggioso Gender and Queer Philosophy, passando per la filosofia delle tradizioni orali, delle serie tv, dell’invecchiamento, ma anche dell’infanzia (distinta dalla “filosofia con i bambini”), della morte così come della nascita (strano non averci trovato la filosofia delle rinascite, considerata la nutrita schiera di panel interculturali). A seguire, per i palati più raffinati: filosofia delle culture indigene, della liberazione, dello sport, della sessualità (con buona pace di chi volesse proporre una relazione a cavallo tra i due), filosofia russa (senza che vi sia alcun altro corrispettivo nazionale, quindi attirando l’attenzione su eventuali complotti filo-putiniani), fino a concludere in gloria (oltre che in ordine alfabetico) con un icastico: “Utopia”.
Arrivati a scorrere le pagine fino all’ultima riga, l’utopia sembra quella di riuscire a tenere assieme tutta questa eterogeneità di contenuti. Più cinicamente, alla conclusione della carrellata, utopistico sembra anche lo sforzo di reperire il quid della filosofia in mezzo a tutto questo sfoggio di applicazione della medesima. L’impressione è che nell’intersezione con tutte queste altre forme di sapere, di vita, di intrattenimento, sia la filosofia in quanto tale a sfumare i suoi contorni fino a perdere i connotati. A disposizione, e di fatto al servizio, degli aspetti più disparati del reale, la filosofia rischia di cadere nel ridicolo e di diventare ancilla non soltanto di altre discipline, come era preoccupazione degli antichi, ma un po’ di ogni fenomeno che ci si manifesta nel circo del reale (e dell’intrattenimento). La questione è meno peregrina e anche meno comica di quanto possa apparire ad un primo sguardo: come dobbiamo interpretare questa pletora di sottoinsiemi? Sono essi, come suggerito, un preoccupante indizio del fatto che la filosofia in sé non esiste più (o addirittura che non è mai esistita)? Oppure possiamo immaginare un’altra lettura del dato, per cui l’elenco ai limiti del cabalistico delle tavole rotonde del congresso mondiale di Filosofia si configura piuttosto come un disperato appello nei confronti della filosofia, come se di essa si avvertisse oggi un bisogno essenziale, al punto da sentire la necessità di convocarla in ogni piega del reale? Utopica vuole essere anche la nostra presa di posizione: ci assumiamo il rischio di non seguire Deleuze&Guattari secondo i quali “qualunque filosofo fugge quando sente la frase: adesso parliamo un po’. Le discussioni vanno bene per le tavole rotonde, ma è su un’altra tavola che la filosofia getta i suoi dadi cifrati” (Che cos’è la filosofia?, Einaudi 2002, 3a ed., ed. or. 1991, p. 18). Ci discostiamo anche dal disincantato scetticismo di uno dei personaggi del romanzo di Lodge, per cui “Non c’è nessun senso […]se per te il senso è la speranza di arrivare a una certa verità. Ma quando mai l’hai scoperta durante un dibattito?” (Lodge, Il professore va al congresso, cit., p. 44). Speriamo cioè che il xxv Congresso mondiale di Filosofia rappresenti un’occasione per aprire una discussione su cos’è diventata questa disciplina e cosa di essa rimane: “Filosofia della filosofia” – quasi quasi propongo un panel.
Questo articolo è stato pubblicato nella mia rubrica ‘Philodiffusione‘ del periodico Loescher ‘La ricerca’.